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Conservazione e durata dell’olio extravergine d’oliva.
Pochi sanno che il vero olio extravergine d’oliva è un prodotto vivo, che si modifica nel tempo. Appena prodotto non è ancora pronto per il consumo: la sua maturità arriverà dopo uno o più mesi in base alle cultivar di provenienza (p.e. l’olio di Coratina, per eccellenza quello più ricco di polifenoli, necessita di alcuni mesi prima che arrivi alla sua ottimale maturazione). Di contro, una conservazione troppo lunga porterà ad un graduale processo di ossidazione e perdita delle sue caratteristiche organolettiche. Per queste ragioni, al fine di gustare l’appropriato sapore al palato e beneficiare di tutti i suoi innumerevoli vantaggi salutari, l’olio extravergine d’oliva andrebbe consumato dopo qualche mese e comunque entro 18 mesi dalla sua produzione.
Per l’olio di oliva non si parla di data di scadenza, ma di tempo minimo di conservazione, ovvero il tempo minimo entro il quale il prodotto mantiene le sue proprietà, oltre il quale perderà gradualmente la maggior parte delle sue caratteristiche (aroma, sapore, colore, ecc.). Sarà ancora commestibile in piena sicurezza, non danneggiando il nostro organismo, ma i suoi vantaggi andranno sempre più riducendosi.
Purtroppo la normativa prevede che il tempo minimo di conservazione parta dal momento dell’imbottigliamento anziché dal momento della produzione: questo consente agli imbottigliatori e commercianti di acquistare olio in qualsiasi momento successivo alla produzione, guadagnando anche diversi mesi (semmai venga addirittura riportato in etichetta), il tutto a scapito dell’ignaro consumatore che non sa che sta acquistando olio che può aver già perso parte, o buona parte, delle sue caratteristiche organolettiche. Questo è il classico caso degli oli venduti dalla grande distribuzione, con prezzi decisamente bassi.
Sono decisamente poche le etichette riportanti il tempo minimo di conservazione e ancor meno quelle recanti l’anno di produzione: solo un olio extravergine d’oliva proveniente al 100% dalla produzione di quell’anno può fregiarsi di tale indicazione. Pertanto, se in etichetta non è riportato l’anno di produzione l’olio può non essere un olio extravergine di quella campagna di raccolta ma addirittura un mix di più campagne (con olio prodotto anche l’anno prima o ancor più vecchio).
L’ottimale conservazione degli oli extravergini d’oliva prevede luoghi asciutti, freschi e al buio (non a caso le bottiglie del vero olio extravergine d’oliva sono sempre oscure): praticamente l’opposto degli scaffali della grande distribuzione. Condizioni differenti accelerano inderogabilmente il processo di degradazione dell’olio che, ricordiamo, è un prodotto vivo.
Le fasi della trasformazione e l’estrazione a freddo
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La molitura, mediante un’azione meccanica, frantuma fisicamente la drupa di oliva facendola diventare una miscela, denominata pasta di olive, composta da una parte solida (bucce, polpa e noccioli) e una parte liquida (acqua e olio).
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La gramolatura, mediante un movimento meccanico lento e costante della miscela e il suo riscaldamento, unisce le piccole particelle di acqua e olio in gocce più grandi. Questa è una fase molto delicata con la quale si esalta, in positivo ma anche in negativo, la quantità, la qualità e il gusto dell’olio che si andrà a produrre. Ruolo importante in questa fase ha la temperatura alla quale è sottoposta la pasta: innalzando la temperatura oltre i 27 °C è possibile “spillare” una quantità di olio maggiore riducendo, però, di molto il gusto fruttato e alcune delle caratteristiche chimiche ed organolettiche, tra cui i polifenoli. Di contro una temperatura più bassa, compresa tra i 25 °C e i 27 °C, garantisce la permanenza di tutte le più importanti caratteristiche sia chimiche che organolettiche, ottenendo un olio di alta qualità, però, con un minor quantitativo di olio. Questo secondo procedimento (temperatura più bassa) conferisce all’olio la denominazione a freddo.
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L’estrazione suddivide la pasta di olive in due parti: una solo solida (sansa) e un’altra solo liquida (acqua e olio). L’estrazione può essere effettuata principalmente con due metodi: con presse idrauliche o con decanter. Col primo metodo la pasta viene stratificata su più dischi impilati gli uni sugli altri i quali, per mezzo di una pressa idraulica, vengono compressi lentamente facendone fuoriuscire la sola parte liquida.
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Col secondo metodo la pasta viene alimentata in continuo in un decanter il quale, per mezzo di forza centrifuga ad alti giri, divide la parte liquida da quella solida. L’estrazione per mezzo di decanter sta sostituendo sempre più quella con presse idrauliche in quanto con quest’ultimo metodo la pasta di olive è costretta ad una lunga esposizione all’aria (a volte anche superiore ai 45 minuti), provocando l’innescarsi del processo di ossidazione dell’olio che lo porterà, nel tempo, a deteriorarsi perdendo il suo gusto originario e generare quel tipico sentore detto “di rancido”. Ciò invece non avviene con il decanter, in quanto la pasta non entra mai in contatto con l’aria (ossigeno) avvenendo l’intera fase in un ambiente completamente chiuso. Infine, ma non meno importante, anche in questa fase è possibile o meno incrementare la temperatura di processo oltre il famoso limite dei 27 °C, i cui effetti sono identici a quanto illustrato per la gramolatura.
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La separazione, mediante un processo di centrifugazione, scinde la parte liquida ottenuta dall’estrazione in acqua di vegetazione e, finalmente, olio.
Quindi, innalzando la temperatura si innesca un peggioramento progressivo delle caratteristiche chimiche (polifenoli, perossidi ed acidità) ed organolettiche (perdita di gusto, note fruttate e sentori vegetali) dell’olio.
Concludendo, l’estrazione a caldo è più vantaggiosa per il produttore di olio perché gli permette di estrarre un quantitativo maggiore di olio a discapito della qualità; mentre per il consumatore è sicuramente meglio un’estrazione a freddo, in grado di esaltare le reali virtù dell’olio extravergine di oliva mantenendo invariato il gusto ma soprattutto le caratteristiche organolettiche e le proprietà benefiche per l’organismo.
Frodi, sofisticazioni e sfruttamento.
Purtroppo, sempre più spesso si sente parlare di frodi e sofisticazioni degli oli extravergine d’oliva.
Troppo frequentemente sugli scaffali dei supermercati si trovano degli oli EVO a prezzi decisamente bassi, per cui il consumatore, ignaro del loro reale contenuto, si lascia abbagliare dalla convenienza economica, non sapendo invece che sta acquistando (e purtroppo utilizzando) un prodotto all’interno del quale tutte quelle caratteristiche che di solito rendono salutare gli oli extravergini d’oliva sono oramai perdute in gran parte.
Nell’ambito delle frodi e sofisticazioni più comuni, perpetrate soprattutto da grossisti e imbottigliatori, vi è quella della miscelazione di olio di semi con olio di oliva facendolo passare per olio EVO. A volte la Commissione Repressione Frodi ha anche accertato che dell’olio di semi era stato colorato artificialmente con clorofilla e insaporito con betacarotene per poi essere spacciato per olio extravergine.
Ancora, vengono sempre più frequentemente acclarati casi di commercializzazione di oli spacciati come extravergine d’oliva con all’interno, invece, oli lampanti (assolutamente non destinabili al consumo fresco ma esclusivamente all’industria) con solo piccole quantità di vero olio EVO, che serve esclusivamente a conferire proprio quei parametri chimici caratterizzanti questi oli pregiati.
Un altro caso frequente è quello della mescolanza di oli prodotti in più annate senza darne la corretta informazione al consumatore: una lunga conservazione porta ad un graduale processo di ossidazione e perdita delle caratteristiche chimiche ed organolettiche degli oli.
Un ulteriore aspetto che caratterizza gli oli venduti a basso prezzo è quello dello sfruttamento. Molto spesso questo ha origine dall’eccessivo potere che oggi ha la Grande Distribuzione Organizzata (supermercati) la quale impone ai suoi fornitori di vendere dei prodotti a bassissimo prezzo, oppure impone delle campagne folli (sottocosto, paghi 2 e prendi 3, ecc.) sempre col fine di ridurre il prezzo finale. Per fare ciò, l’agricoltore è costretto a dover scendere di qualità nella coltivazione degli oliveti, il trasformatore (frantoio) è costretto a dover scendere di qualità in una o più (o a volte in tutte) le fasi della trasformazione per l’ottenimento dell’olio e l’imbottigliatore è costretto a dover scendere di qualità arrivando a sofisticare gli oli. In questo modo si ottengono dei prodotti di scarsa qualità, ma anche con una bassissima sicurezza alimentare! Anche se, a dirla tutta, a volte alcuni di questi soggetti scelgono volontariamente, senza imposizioni dei supermercati, di ricorrere a queste pratiche scorrette. Quanto finora riportato riguarda un aspetto quali-quantitativo, ma ce ne è un altro che è quello etico: basso prezzo in vendita vuol dire non remunerare adeguatamente i vari soggetti della filiera, che non sono solo quelli sopra citati. Per fare un esempio su tutti (ma non è l’unico) l’agricoltore, al fine del contenimento dei costi di produzione, perpetra uno sfruttamento della manodopera pagandola ben al di sotto delle regole. Stessa cosa dicasi per il trasformatore e, volendo, anche per l’imbottigliatore.
Purtroppo, tutto ciò non è di facile riscontro da parte del consumatore che ovviamente non può sapere cosa c’è all’interno della confezione di olio che sta acquistando, né tantomeno i retroscena che hanno portato alla commercializzazione di un prodotto con un prezzo così apparentemente “conveniente”. Se opportunamente informato, però, il consumatore ha la consapevolezza di poter scegliere tra un prodotto economico ma assolutamente non di qualità (e a dispregio dell’etica) e un prodotto che gli costerebbe solo qualche centesimo di euro in più al giorno ma decisamente salutare per lui e la sua famiglia e nel rispetto di tutti i soggetti della filiera.